Emozioni in tempo di covid #1

Mi chiedo come sia pos­si­bile tut­to questo.
Ho un atti­mo di scon­for­to e lo sguar­do fis­so a ter­ra, non ho la percezione del tem­po che pas­sa la vista mi si anneb­bia è rab­bia, scon­for­to, delu­sione non so più cosa gli occhi diven­tano luci­di non so per il sudore o le sen­sazioni che pro­vo…
Cer­co di far­mi forza e mi rial­zo per andare a con­trol­lare il paziente.
Mirko è al mio fian­co barda­to come l’omino miche­lin, qua­si comi­co se non fos­se per pro­tegger­si, ci scam­bi­amo un sor­riso, il sup­por­to dei volon­tari tra di loro, sono raz­za a parte chissà chi glielo fa fare.
Atten­di­amo, guardiamo il paziente cer­can­do di sor­rid­ere e non spaven­tar­lo dietro a tut­ta ques­ta bar­datu­ra.
Il repar­to non è prepara­to ad accoglier­ci, non ci sono i posti let­to. In più devono san­i­fi­care, il per­son­ale lavo­ra sen­za sos­ta, i casi volano.
Siamo in fila, siamo la quar­ta ambu­lan­za ad atten­dere e purtrop­po osta­co­l­iamo pure il pas­sag­gio. Siamo arrivati alle 14 ed è già pas­sa­ta un’ora un ora di atte­sa sner­vante con il paziente che è teso impau­ri­to, un’infermiera viene a con­trol­lare lo sta­to, come api operaie cer­cano di far fun­zionare tut­to e ci regalano un sor­riso, san­no che capi­amo, che lavo­riamo al loro fian­co.
Tut­ti sti­amo bene, ma l’at­te­sa sarà lun­ga ed il fred­do del­la gior­na­ta si fa sen­tire soprat­tut­to per­ché siamo in una zona d’om­bra dove si infrange il ven­to.
Ci tro­vi­amo a Cisanel­lo, nel per­cor­so pron­to soc­cor­so Covid e la mia mente viag­gia nel­l’at­te­sa, fac­cio rif­les­sioni.
Strap­pi­amo le per­sone da casa o le trasfe­ri­amo da ospedale ad ospedale cer­can­do di ras­si­cu­rar­le nel breve tragit­to per­cor­so, ma aimè guar­do i loro occhi e ascolto le loro parole e mi si riem­pie il cuore, non solo di rab­bia ma di dispi­acere e scon­for­to.
Cer­co di essere disponi­bile, man­te­nen­do le dis­tanze e pren­den­do i para­metri per assi­cu­rar­ci la loro sta­bil­ità.
Sono per­sone, sono esseri umani.
Noi siamo Volon­tari, oper­a­tori san­i­tari…
Non è facile cari­car­ci di così tante emozioni,
la nos­tra mente ed il nos­tro cor­po ne risente.
Il paziente è rius­ci­to ad andare in repar­to solo alle 18.30 e come è sta­ta dura per lei è sta­ta dura altret­tan­to per noi.
Ves­tizione com­ple­ta effet­tua­ta alle 13.30 da me ed il mio col­le­ga, solo alle 19 ci siamo liberati da questo claus­tro­fo­bi­co abbiglia­men­to.
Dif­fi­coltoso era res­pi­rare e cam­minare, ma la sod­dis­fazione più grande è sta­ta quan­do ho avu­to il piacere di con­tattare il famil­iare e ras­si­cu­rare che il pro­prio figlio fos­se sal­i­to e in buone mani, pron­to a rice­vere le giuste cure.
Il ringrazi­a­men­to e la voce tre­mante del padre è sta­ta una ras­si­cu­razione del lavoro che svol­giamo.
Abbi­amo tut­ti noi vis­to per­sone che deri­dono ciò che fac­ciamo, met­tono in dub­bio che ci sia qual­cuno sulle ambu­lanze, che youtube dica la ver­ità, che queste per­sone non sof­fra­no, che non si sen­tano man­care il respiro, che non abbiano l’ossigeno, ques­ta è la sto­ria di queste foto vista dagli occhi di Michela.
Non c’è pau­ra, non c’è giudizio, non c’è crit­i­ca, non abbi­amo le risposte come tan­ti cre­dono, abbi­amo il cuore e la certez­za che la voce tre­mante che emoziona un gen­i­tore che non sa quan­do rive­drà il figlio è una voce più forte delle gri­da di chi al bar 20 anni fa sarebbe sta­to trat­ta­to come lo sce­mo del paese.
Gra­zie Michela, gra­zie Mirko, gra­zie ragaz­zo in tuta arancione….qualsiasi nome tu abbia!