Mi chiedo come sia possibile tutto questo.
Ho un attimo di sconforto e lo sguardo fisso a terra, non ho la percezione del tempo che passa la vista mi si annebbia è rabbia, sconforto, delusione non so più cosa gli occhi diventano lucidi non so per il sudore o le sensazioni che provo…
Cerco di farmi forza e mi rialzo per andare a controllare il paziente.
Mirko è al mio fianco bardato come l’omino michelin, quasi comico se non fosse per proteggersi, ci scambiamo un sorriso, il supporto dei volontari tra di loro, sono razza a parte chissà chi glielo fa fare.
Attendiamo, guardiamo il paziente cercando di sorridere e non spaventarlo dietro a tutta questa bardatura.
Il reparto non è preparato ad accoglierci, non ci sono i posti letto. In più devono sanificare, il personale lavora senza sosta, i casi volano.
Siamo in fila, siamo la quarta ambulanza ad attendere e purtroppo ostacoliamo pure il passaggio. Siamo arrivati alle 14 ed è già passata un’ora un ora di attesa snervante con il paziente che è teso impaurito, un’infermiera viene a controllare lo stato, come api operaie cercano di far funzionare tutto e ci regalano un sorriso, sanno che capiamo, che lavoriamo al loro fianco.
Tutti stiamo bene, ma l’attesa sarà lunga ed il freddo della giornata si fa sentire soprattutto perché siamo in una zona d’ombra dove si infrange il vento.
Ci troviamo a Cisanello, nel percorso pronto soccorso Covid e la mia mente viaggia nell’attesa, faccio riflessioni.
Strappiamo le persone da casa o le trasferiamo da ospedale ad ospedale cercando di rassicurarle nel breve tragitto percorso, ma aimè guardo i loro occhi e ascolto le loro parole e mi si riempie il cuore, non solo di rabbia ma di dispiacere e sconforto.
Cerco di essere disponibile, mantenendo le distanze e prendendo i parametri per assicurarci la loro stabilità.
Sono persone, sono esseri umani.
Noi siamo Volontari, operatori sanitari…
Non è facile caricarci di così tante emozioni,
la nostra mente ed il nostro corpo ne risente.
Il paziente è riuscito ad andare in reparto solo alle 18.30 e come è stata dura per lei è stata dura altrettanto per noi.
Vestizione completa effettuata alle 13.30 da me ed il mio collega, solo alle 19 ci siamo liberati da questo claustrofobico abbigliamento.
Difficoltoso era respirare e camminare, ma la soddisfazione più grande è stata quando ho avuto il piacere di contattare il familiare e rassicurare che il proprio figlio fosse salito e in buone mani, pronto a ricevere le giuste cure.
Il ringraziamento e la voce tremante del padre è stata una rassicurazione del lavoro che svolgiamo.
Abbiamo tutti noi visto persone che deridono ciò che facciamo, mettono in dubbio che ci sia qualcuno sulle ambulanze, che youtube dica la verità, che queste persone non soffrano, che non si sentano mancare il respiro, che non abbiano l’ossigeno, questa è la storia di queste foto vista dagli occhi di Michela.
Non c’è paura, non c’è giudizio, non c’è critica, non abbiamo le risposte come tanti credono, abbiamo il cuore e la certezza che la voce tremante che emoziona un genitore che non sa quando rivedrà il figlio è una voce più forte delle grida di chi al bar 20 anni fa sarebbe stato trattato come lo scemo del paese.
Grazie Michela, grazie Mirko, grazie ragazzo in tuta arancione….qualsiasi nome tu abbia!